lunedì 29 agosto 2011

La stupidità dei fatti e la realtà delle interpretazioni: Libici sotto la lente degli italici giornalisti, il mostro Varka e il pensiero debole (che ha un pessimo nome) contro tutti.

La domanda iniziale è: come scrive l'inviato di Repubblica in Libia? La seconda è: che parametro ho io per poter giudicare un giornalista professionista in Libia ciòperquindi in una zona di guerra? Nessuno. La libertà di critica non ha come logica conseguenza che si possa dire proprio tutto. La libertà è un doveroso pericolo in verità. Posso però cercare di capire perché i nostri giornalisti non vogliano aiutarci a capire cosa succede ma solo descrivercelo. Lo descrivono fino all'orrore, come in questo articolo (stilisticamente e retoricamente bellissimo) di Mimmo Candito. In effetti (leggetelo!) ci ha disgustato, (e quella barbetta dell'imam alla fine cosa significa? Credo sia il pezzo più importante dell'articolo ma resta lì a far colore) ma  una volta finito l'articolo cosa ci resta se non l'orrore? Solo che la guerra fa schifo? Non penso che mostrare la realtà dei fatti fino al dettaglio crudo e sanguinario sia in qualche modo catartico.Quello è solo schifo, repulsione. L'orrore della guerra è in un altro passo dell'articolo. Dopo i vermi e i cadaveri, dopo l'iperrealismo dei dettagli crudi che divengono quasi finti; la loro oscenità è troppo grande perché siano, in un certo senso, Reali. "La guerra crea speranze e illusioni".  Questo è l'orrore della guerra. 


C'è un altro articolo sulla liberazione dei giornalisti in Libia che è in effetti molto interessante, questo. I quattro giornalisti italiani parlano della loro liberazione. Nessuno che si chieda perché li abbiano liberati. Il giornalista di Avvenire attribuisce (per deformazione professionale) la sua salvezza alla Grazia Divina, presente in ogni uomo. Così i due ragazzi, di non si sa quale clan, spuntati fra la folla che li voleva linciare,  diventano degli angeli: e i quattro si fidano ciecamente della spiegazione che i due danno della loro liberazione: "lo facciamo in segno di rispetto per il nome di Dio". Non sto dicendo che non possa essere vero, dico solo che in quell'articolo la verità è quella. I selvaggi a volte diventano buoni. Possiamo dubitare che in una spietata zona i guerra quattro giornalisti vengano liberati per intercessione divina? (tralasciando la domanda eccessiva e banale sul perché Dio non si sia curato del povero traduttore ma solo dei quattro italiani). Questa loro versione non presenta di per sé nessun problema: è la verità che si sono scelti (e cosa posso dire con il culo al caldo? Probabilmente mi ci sarei adeguato anche io). In fondo i Salvati, tutti i salvati quando guardano in faccia il morto devono scegliersi una verità. Non è il senso di colpa per quello che è avvenuto a formulare cause divine indipendenti. Ma è la domanda: perché io sono salvo e lui è morto? E' l'impossibilità ad accettare il caso. La fortuità di ciò che è accaduto. 


Il caso, i fatti del caso e la loro interpretazione. 
Il fato è il caso per eccellenza. Quale sarebbe il rapporto fra il fatto e il fato? E quale quello fra il fato e l'interpretazione del fato? Tutto questo discorso filosofeggiante nasce dalla volontà di capirci qualcosa, sempre a livello amatoriale, in questa discussione di Repubblica sul pensiero debole. Non ho ancora capito se la serie di articoli serva solo a pubblicizzare nuovi libri di filosofi che nessuno comprerebbe mai o se davvero c'è chi discute se sia ora di tornare al realismo dopo decenni di pensiero debole, di trionfo delle interpretazioni. A me queste cose ricordano la moda ciclica dei nostri tempi: dopo gli anni 80 tornano i 70! Capelli lunghi, poi capelli corti poi capelli lunghi. Operazioni nostalgia che ci ricordano che il nostro tempo è schizofrenico. Citiamo così questa canzone dei perturbazione che inquadra benissimo, meglio di qualsiasi libro, meglio di Baumann, il nostro Tempo. Per naturale conseguenza dopo le interpretazioni i fatti. L'alternanza democratica fattasi Legge Fisica di moto e pensiero. Tornando a noi.
La modernità non accetta il fato come un fatto. La modernità non accetta fati. Solo fatti, riprese reali ed ossessive di migliaia di Fatti. 24oresu24 di ciò che accade. (Sarebbe interessante capire se anche altre culture e altri tempi hanno avuto l'odio del fato). Per adesso mi viene da dire: la Cultura umana odia il fato. La cultura sopprime il fato, lo controlla, lo vuole aggredire. La cultura di per sé costruisce Fatti. Che sia attraverso la scienza, che sia attraverso  un sistemo totemico, agire culturalmente è denominare il fato, circoscriverlo a fatto. Si tratta di creare un significato, un'interpretazione precisa rigida di quel fato, di quel caso. I significati che attribuiamo a ciò che succede, l'interpretazione di ciò che succede, creano i fatti. "il Cielo è azzurro" è un fatto, ma è anche un significato, ha un significato diverso per ogni sistema culturale. (Per ogni soggetto?) Non sono d'accordo con chi pensa che esistano alcuni "dati di fatto". E ancora meno con quelli che ne fanno  un problema per la conoscenza. L'uomo usa districarsi fra il fato e il fatto della sua vita con la cultura. Posso dire che la cultura è il modo con cui l'uomo si è adattato all'ambiente? Ha creato nel caos un ordine, ha disposto attentamente gli oggetti della realtà. 
Complichiamoci la vita.
Turchia,  Istanbul. Trovi facilmente tanti bambini poveri che vendono fazzoletti, suonano clarinetti giocattolo per le strade. La loro povertà è un'interpretazione? Si lo è. La povertà è interpretata vissuta, inserita in una casella, in una disposizione precisa da ogni cultura. La povertà di per sé non significa nulla. Siamo noi a darle significato nel modo in cui la guardiamo, nel modo in cui, e questo forse è il punto, la parliamo. Certo questo significa che per una cultura che legge la povertà come una punizione divina, la povertà è in effetti giustificata. Eticamente questo ci ripugna. Allora forse questi stronzi qui sbagliano.  Che lo sappiamo tutti la povertà è brutta, va eliminata! E la guerra poi? Na porcata certo. Però quando si aiutano i ribelli libici? Beh distinguiamo. Eppure il fatto è sempre quello, la guerra. E' il modo in cui la disponiamo e la parliamo che cambia il suo statuto. Se quindi i fatti sono, non solo suscettibili di interpretazioni diverse di cui nessuna Vera fino in fondo, ma addirittura interpretazioni, la realtà diventa inconoscibile.  Non esistono Verità per cui anche Hitler ha ragione? Il papa lo dice spesso, nichilismo e relativismo , i mali del tempo nostro. Su Repubblica prima pagina, stesso giorno dell'articolo sulla Libia e della ripresa discussione fra sostenitori del pensiero debole e neorealisti, la spalla apre con un'intervista ad un povero studente di Cl dell'università di Milano. Il ragazzo, saccente come solo un ciellino della Statale riesce ad essere, dice:  "E adesso voi relativisti come la mettete?" il giornalista prosegue: " La mettiamo cosa?" "Con Fukushima. Con Oslo. Con il crollo della borse..." Alla domanda cosa c'entrano ste quattro cose con il realtivismo il filosofo di Cl sfodera tutta la sua sicurezza teologica con sorriso beffardo: "Qui ti volevo! Come fate a cavarvela con il vostro pensiero debole (sic), il vostro scetticismo sistematico? Vi siete costretti a dubitare di tutto, e adesso avete paura di tutto". Al di là della simpatia che ispira il giornalista, con la doppia sfortuna di trovarsi al meeting  di Cl e di dover parlare con un arrogante giovane ciellino,  la domanda che pone il piccolo filosofo non è stupida.  E' questa paura che ci costringe in maglie di interpretazione, che ci porta alla creazione di dispositivi e culture per poter reggere l'assurdità. E' questa che ci spinge a creare i fatti, a pensarli in un certo modo, che ci garantisce così la nostra adattabilità all'ambiente, ad un mondo che è sconosciuto e spaventoso. Tutti si affannano a ricostituire un padre ucciso tanto tempo fa. Non vogliono essere padri di qualcosa di nuovo, ma rifugiarsi sotto le mani di quello vecchio che conosceva così bene la Verità. I fatti sono stupidi. Sono vuoti perché di per loro vorrebbero essere significati, ma non lo sono. Non hanno significato, perché è il linguaggio a farlo. Quei morti che Mimmo Candito ci descrive non hanno significato. C'è una cerimonia  studiata da Lattas, in una società della Nuova Britannia, una cerimonia di iniziazione in cui i giovani sarebbero mangiati e poi vomitati dal  tambaran Varku un mostro la cui funzione è generare gli uomini. Quando i giovani sono ammessi al recinto dove sarebbe il Varku, viene loro spiegato che si tratta di una finzione! Un inganno finzionale, siamo noi uomini, dicono, che creiamo Umanità. Crescere significa essere consapevoli che il progetto di umanità, la verità, il dispositivo, che creiamo serve anche per affrontare insieme la paura, per crescere. Consapevoli che siamo in un modo ma potremmo essere diversamente come dice splendidamente Remotti qui


Infine si ritorna alla povertà, alla guerra. Perché buttare tutto questo patrimonio di consapevolezza che popolazioni differenti da noi hanno scoperto prima di noi? La riflessione si è fermata lì, sul primo gradino, la complessità che ha apportato al pensiero occidentale il 900 non deve essere dimenticata. Chi prima di noi ha ucciso tutti i nostri padri, ha ucciso Dio. Ha lasciato a noi il compito più ingrato costruire un mondo del tutto nuovo. Il primo gradino da superare è questo, il mondo non ha verità, non ci sono Varku che ci ingoieranno, siamo noi che creiamo il mondo. Ma questo non è un ostacolo, questa è la consapevolezza da cui ripartire. come? Non chiedete troppo. 

mercoledì 27 luglio 2011

Di Behring Breivik, della Norvegia e dei Saami

Voglio proporre in versione amatoriale una lettura storica sui fatti di Oslo. Senza perdere troppo tempo con  la codardia (banda di codardi, i codardi che scoperte) di tanti nostri integerrimi intellettuali, subito disposti a salvare il brodo razzista farneticante stile Fallaci per indicare il povero Breivik come pazzo isolato (che se fossi lui mi incazzerei pure), passerei ad immergere il "templare" all'interno della storia della sua nazione. Sugli intellettuali  italiani già si sono dilungati magnificamente qui e qui
La Norvegia ha una situazione etnica particolare, direi unica in Europa sotto certi aspetti, situazione che condivide con le altre nazioni scandinave e che ne ha plasmato la storia. Parliamo della presenza dei da noi nominati Lapponi, che fra di loro si chiamano semplicemente popolo Saami. Nel folklore immaginario europeo li vedete con le slitte destreggiarsi come Babbo Natale fra renne e neve. In realtà la maggior parte del popolo Saami Norvegese soddisfa le sue esigenze con la pesca. La modernità, come dovunque, ha cambiato il loro stile di vita: non vivono più in capanne o tende, tranne che in alcuni periodo dell'anno. Tutte e tre i paesi scandinavi si sono confrontati con questa minoranza originaria (sempre usare "originaria" con le pinze per favore), che era difficilmente assimilabile: per esigenza e credo era nomade e i costumi e la  lingua e le usanze erano completamente oscure ai più. E' davvero complesso il rapporto creatosi nei secoli fra le popolazioni stabili e quei nomadi che puzzavano di renna e vestiti di toppe (questo sembra che significhi il termine Lap da cui Lapponi). Non sono riuscito a trovare molte informazioni sul periodo antecedente all'800, ma sicuramente è con la costruzione di stati nazionali più accentrati e con le derive populiste nazionaliste della modernizzazione che il rapporto si inasprisce. Del resto quando si creano i confini, da che mondo e mondo, le popolazioni nomadi diventano fuorilegge, perché situate al di fuori del controllo statale. (Le tasse come le riscuoti a chi si muove in continuazione fra un confine e l'altro?) Quindi inizialmente la politica dei tre stati tendeva all'assimilazione religiosa culturale dei Saami.  Forzatamente (qui siamo già - o soltanto - negli anni fra il 1920 e il 1930) il popolo Saami doveva dimenticare la propria lingua e i propri costumi e diventare Norvegese a tutti gli effetti. Gli stessi etnologi, ma su questo ho poche fonti se non frasi apodittiche, non amavano molto i Saami e alimentavano i pregiudizi e fornivano, come facevano i loro colleghi nello stesso periodo in giro per il mondo, aiuto allo stato per le politiche di controllo e assimilazione. Si arrivò così alla tourné europea stile circo Barnum dei Lapponi, usanza tutt'altra che rara nel periodo fra l'800 e il '900. Gli indigeni erano oggetti etnografici come i tamburi o le opere d'arte. ( Per gli amanti dei dettagli questo sito spiega benissimo sia il prima che il dopo della situazione sociale Saami). Attualmente le politiche statali dei tre paesi che li ospitano hanno cambiato retorica, e come per gli Aborigeni e gli Inuit in Canada, si sono creati parlamenti e stati semi-indipendenti. Ma al di là della retorica Laburista dei governi, di fatto i Saami sono solo tollerati e mal digeriti dalla società locale; un articolo recente spiega come la destra svedese e quella norvegese vedano di cattivo occhio i, a loro dire, privilegi dei Saami, parlando di un apartheid mascherato (qui il simpatico articolo, il blog che lo ospita non è fra i miei preferiti ma tant'è). Tutto queste parole solo per giungere a dire cosa? In realtà niente di davvero definitivo. Fra la pagine, copiate da Fallaci e compagni (si copiano parole e brani interi tutti quanti e tutti con la stessa dovizia -che poi è quello che fanno da secoli i complottisti paranoici, prima con gli ebrei ora con l'islam  - a questo proposito sarebbe carino fare la tag cloud di un libro di gente come Fallaci e company  e confrontarla con quella già presente qui del memoriale del templare) non si parla di Saami, né di Lapponi o altro. Non si dovrebbe però scartare, fra le tante influenze e motivazioni alla base dell'ideologia di costui, anche questa storia, che è la storia del suo popolo. Troppi articoli dipingevano come incredibile la presenza di queste idee fascistoidi a quelle latitudini di Welfare State e Pil altissimo. Fra l'altro, in linea con quella che è la sua ideologia, non è un razzista, un fascista classico Breivik. Il sangue nel memoriale è sostituito dal Volk, dalla cultura del suo popolo. La somiglianza con gli eventi storici sta nel fatto che i Saami non erano una razza inferiore, dovevano semplicemente cambiare cultura, dovevano essere culturalmente come i norvegesi. Siamo di fronte ad alcuni meccanismi tipici della cultura di destra come già Jesi illustrava benissimo anni fa (Leggetelo!).  In quelle millecinquecento pagine non si dichiara mai nazista, e - come riportava un giornale ma non ricordo dove e quando - critica esplicitamente il nazismo stesso. Trovo però questo fascismo, questo razzismo, questo fondamentalismo cristiano e Occidentalista, ancora più utile al capitalismo: un dispositivo perfetto per il capitale . Non è importante che tu sia Nero, Giallo o Verde, l'importante è che tu viva come noi,che tu produca nel nostro stesso modo. Così il popolo Saami ha dovuto abbandonare le renne e il fruscio e l'odore del vento, per seguire le sue mandrie con l'elicottero dall'alto. 
Non so se nella conclusione mi sono perso, ma questo era il primo post e tutto quanto è scusato e scusabile. Esecratori di professione leggetevi altro che la vita è breve.


canto saami per appassionati di sentimenti verso popoli lontani e meno spaventosi di yussuf e delle sue borse tarocche